Il pane agricolo urbano, intervista a Davide Longoni

X
DAVIDE LONGONI

“Il pane è composto da quattro ingredienti: farina, acqua, sale e lievito; se cambi il lievito, cambia tutto.”

Con questa affermazione, Davide Longoni, panificatore urbano, teorico del pane urbano contemporaneo e pioniere del lievito madre nell’arte della panificazione, risponde alla domanda sull’influenza dei lieviti sul sapore finale del pane.

Di solito, quando si pensa al pane, infatti, si pensa alla farina come ingrediente principale che va a determinarne il gusto. Al panettiere, ad esempio, chiediamo un pane integrale o un pane fatto con farina di grano duro e non ci verrebbe in mente di chiedere un pane a base di Sponge o di lievito di birra.

Tuttavia, Davide Longoni afferma con convinzione: “si pensa al pane e si pensa alla farina, io penso alle fermentazioni” e questa cosa diventa evidente: “quando lo si mangia, dal profumo dal gusto e soprattutto con il morso viene tutta fuori”. 

E poi aggiunge: “Impastando la stessa farina con quattro lieviti diversi, infatti, si ottengono quattro pani differenti”. Durante la 19ª edizione del congresso internazionale della cucina d’autore, Identità Golose, dal titolo ‘Disobbedienza e Innovazione’, Longoni porta il tema della fermentazione, presentando il pane come un prodotto fermentato e rivalutando il ruolo del lievito madre.

Anni fa, egli stesso aveva introdotto questo lievito come innovazione, portando all’inizio della sua carriera un pane agricolo di grandi dimensioni con pasta madre, un pane scuro e robusto con crosta, un tipo di pane che a Milano nei primi anni duemila era inedito, soprattutto in un panificio che produceva michette, dove lui all’epoca lavorava.

Questo cambiamento del paradigma consolidato “lievito madre = prodotto eccellente” lo spinge a rivalutare il processo di creazione del suo pane, che non si basa più sull’assolutismo del lievito madre, ma sulla possibilità di scegliere un lievito specifico in base al prodotto finale desiderato.

È un vero e proprio cambiamento di prospettiva, una forma di disobbedienza, un’innovazione che gli ha permesso di reintrodurre la michetta nei panifici Longoni.

Durante la degustazione tenutasi nella sua conferenza per Identità Golose ha presentato i diversi lieviti utilizzati nella preparazione del suo pane e della sua pizza alla pala che è possibile acquistare in diversi punti vendita a Milano.

In tutto i lieviti sono quattro: Lo Sponge è un prefermento realizzato con farina di tipo 2 e farina di segale, al quale viene aggiunto un po’ di lievito di birra e poi viene gestito a una temperatura compresa tra i 5 e i 7 gradi.

Questo processo di fermentazione costituisce la base per la preparazione della pizza alla pala dei panifici Longoni. Tale pizza si contraddistingue per un impasto estremamente leggero e umido all’interno, incredibilmente morbido, tanto che “in tre morsi è finita”.

Il secondo metodo è la BIGA, che viene lavorata a temperature leggermente più elevate, producendo aromi più distintivi, particolarmente adatti per prodotti come la michetta. Nonostante sia realizzata con farine bianche, lavorandola a temperature più alte si riescono ad estrarre aromi caratteristici.

Successivamente, abbiamo i lieviti madre (sia solidi che liquidi); con il lievito liquido che presenta una dolcezza maggiore grazie alla maggiore quantità d’acqua, si ottiene un profumo lattico. Anche se non viene aggiunto latte, il lievito riesce comunque ad esprimere questo aroma che poi si ritrova nel pane. Inoltre, c’è la pasta madre solida, con una minore quantità di acqua, che tende ad essere più acetica.

Infine, c’è il lievito di birra, il quale non dovrebbe essere escluso a priori, ma può dare i suoi risultati, se utilizzato con competenza. In generale, dato che il pane di grandi dimensioni può mantenersi fresco fino a 7-10 giorni, il lievito di birra tende a disidratarlo, mentre la pasta madre mantiene l’umidità più a lungo, conservando le sue proprietà; quindi, viene preferita per la produzione di pane di grandi dimensioni. Per quanto riguarda la pizza, si cerca una crosta friabile e una giusta umidità; quindi, la pasta madre conferisce una certa gommosità che non è ideale per questo tipo di prodotto.

Il pane non è solo gusto: è tradizione, innovazione, sostenibilità e rapporti umani.

Se per Longoni il lievito è il cuore del pane e la farina è il guscio che lo contiene, è la qualità che fa la differenza sul prodotto finale e lui lo sa molto bene, proprio per questo utilizza farine che produce lui stesso, convinto che essere artigiano significhi avere il controllo di tutta la filiera.

Partendo da questo concetto, teorizza il termine “pane agricolo urbano”, un pane capace di creare una rete tra la città e la campagna, dove i panificatori urbani intessono rapporti umani in grado di valorizzare ogni elemento della filiera, dal contadino al mugnaio, al panificatore.

L’opportunità di coltivare i cereali che andranno a finire nella farina utilizzata per i prodotti Longoni rappresenta un vantaggio per il territorio perché non si depaupera il terreno, ma si recuperano quei luoghi destinati all’abbandono e alla desertificazione, come accaduto con i progetti di Chiaravalle, nei terreni al margine della periferia sud di Milano dove si coltiva in biologico, senza l’ausilio di diserbanti o concimi e seguendo una rotazione triennale, alternando grano a piante leguminose ed erbe mediche.

“Il mio obiettivo” – dice Longoni – “è quello di ridare una vera dimensione agricola alla panificazione: accorciare la filiera, controllare la materia prima e utilizzare farine che provengono dalle mie produzioni.”

Resta comunque la sfida di riuscire a comunicare al consumatore finale questo valore. “Il prezzo del pane non è mai abbastanza, il prezzo corrisponde a un valore e bisogna pagare correttamente tutte le parti della filiera”, afferma a proposito della sfida nel decidere di produrre un pane agricolo urbano.

Quest’ultimo rappresenta, infatti, anche una grande opportunità sociale perché vuole valorizzare la risorsa umana, rendendola partecipe di un cambiamento che parte dal chicco di cereale e arriva sulla tavola del consumatore.

E nella filiera è incluso anche il consumatore, che dalla città, dove acquista il pane grazie alla mediazione dei panificatori urbani, entra in contatto con la campagna, consapevole che da qualche parte c’è un contadino che produce cibo, coltiva i terreni, alleva animali, acquisendo così una dimensione sociale.

Nel contesto della panificazione, Longoni ha saputo rendere contemporaneo un prodotto che per definizione è tradizionale. Il pane, infatti, costituisce la base della catena alimentare poiché il grano è un prodotto che si può trasportare e conservare senza deteriorarsi, permettendo così di nutrire molte persone.

Questo concetto è valido oggi e lo sarà anche in futuro, poiché il pane costituirà sempre un elemento fondamentale dell’alimentazione, inoltre Longoni afferma: “I cereali sono alla base della città” e “senza il pane, le città non esisterebbero”.

Tuttavia, pur essendo definito il padre della panificazione moderna e maestro d’arte e mestiere, grazie alla sua ricerca e allo studio approfondito, sia nella parte agricola che nella macinazione e fermentazione, è riuscito sempre a innovarsi e a proporre un pane sempre al passo coi tempi.

E come sostiene lui stesso, “Il pane che si farà oggi non sarà lo stesso pane del 2030, poiché cambierà la conoscenza, cambierà la materia prima; niente è immutabile”.

Rosy Audino

Condividi: